Capitolo 1
(parte seconda)
Samantha Radclyffe si era sempre chiesta come mai i guai riuscissero a trovarla ovunque, anche quando stava cercando disperatamente una camera dove soggiornare per la notte. Era a Londra per una vacanza studio, ma purtroppo la famiglia che la ospitava per lo scambio culturale promosso dall’Università di Lingue di Roma aveva subito un grave lutto, e le aveva spiegato con chiarezza che non poteva rimanere da loro. Non aveva capito bene cos’era successo, il fatto era che erano quasi le undici e mezza di sera e lei era sola, in una città che non dormiva mai, senza un luogo dove andare. La famiglia Richards le aveva consigliato di tornare alla sede dell’ambasciata italiana dalla quale Samantha avrebbe potuto trovare aiuto, ma si era dimenticata il portafoglio da loro e non disponeva di soldi per chiamare un taxi. Un inferno. L’ideale era dirigersi alla polizia e spiegare con calma ciò era successo. Quegli incivili non potevano abbandonarla quando volevano su un marciapiede! La madre a Roma aveva ospitato a sua volta un sacco di giovani studenti inglesi. Uno scambio culturale funzionava così, di solito. Non era mai capitato che la studente fosse costretta a vagare per le strade della città senza meta! Un lutto… ma chi stavano prendendo in giro? Se anche fosse morto il nonno o un cugino, perché lei non poteva rimanere ancora in quella casa? Cos’aveva di sbagliato? Sbuffò disperata, mentre s’incamminava per Soho alla ricerca della stazione di polizia più vicina, indicata da un’insegna dall’altro lato della strada.
Un medaglione argentato le penzolava al collo. Un portafortuna che la accompagna ovunque. Raffigurava una Fenice dalle ali spiegate. Era l’unico ricordo che possedesse di suo padre, dopo la sua tragica morte.
Un tizio avvolto in un impermeabile color topo era appoggiato alla pensilina vicino alla fermata del bus. Aveva un’aria particolarmente sinistra. Non era il tipo di persona sulla quale avrebbe potuto fare affidamento. Samantha si strinse nella giacca, camminando con passo spedito. Si accorse che quell’uomo s’era a sua volta incamminato nella sua stessa direzione. Udiva i passi alle sue spalle. Avanzò rapidamente cercando di mischiarsi ella folla. Voltandosi un istante, scoprì con sua disarmante paura che l’uomo la stava inseguendo. Soffocò un grido e cominciò a correre. Aveva pure iniziato a piovere, dannazione. Capitavano tutte a lei. Tutte. Non aveva un minimo di fortuna. L’acqua iniziò ad inzuppargli i vestiti, e rendergli le scarpe da ginnastica di tela due umide fette di gomma appiccicosa.
Ma il destino non sembrava aver smesso di accanirsi contro di lei.
Mentre sfrecciava per la via, zigzagando tra la folla, spostò male un piede ed avvertì un dolore acuto alla caviglia. Ci mancava ancora una storta. Gemette piano e s’appoggiò alla vetrina di un negozio, sperando che il tizio non l’avesse avvistata. Guardandosi attorno scoprì che lui era scomparso. Tirò un sospiro di sollievo, e cercò di riprendere a camminare nonostante la caviglia gli provocasse qualche fastidio. C’era troppa gente e faticava a camminare. Svoltò un vicolo buio e si appoggiò ad una parete per verificare che la slogatura non fosse qualcosa di grave. Le faceva male.
Sentì un respiro caldo sul suo collo. Cacciò un grido voltandosi di scatto verso l’incappucciato che la stava osservando, e fece immediatamente per fuggire.
<< Ehi, dove stai andando?>> disse lui, con una voce stranamente giovanile. << non voglio farti del male.>>
Era un ragazzo con il cappuccio della felpa calato sugli occhi. Niente di pericoloso. Solo un ragazzo.
Samantha respirava ancora affannosamente. << Mi hai… spaventata.>>
<< Davvero?>> Lui si abbassò il cappuccio. << Va meglio così? O sembro ancora un delinquente?>>
La fece sorridere. << Va meglio.>> mormorò.
<< Ti sei fatta male? Non notato che correvi. Stavi fuggendo da qualcuno?>>
Lei cercò di guardarlo meglio in faccia. Era buio, faticava a distinguere il colore dei suoi capelli, ma aveva alcune lentiggini sul naso. << No, ecco… ho solo preso una storia.>>
<< Non sono un medico, ma da quel che vedo sembra ti faccia male. Dovresti andare al pronto soccorso.>>
Samantha si strinse nelle spalle. << Non sono di qui. Non so dove si trovi un ospedale.>>
<< Se vuoi ti ci posso accompagnare io.>>
<< No, aspetta, fermo…>> Lei lo guardò con diffidenza. << Non so chi sei, né cosa ci stai facendo qui… e nemmeno che intenzioni hai. Sai, mia mamma mi ha insegnato che…>>
<<… che non si parla con gli sconosciuti?>> disse il ragazzo, con un sorriso. << Mi chiamo Michael Robbins, se vuoi ti faccio vedere la carta d’identità.>>
<< No, non ce n’è bisogno.>> mormorò Samantha, sorridendo appena. << Sono qui per imparare la lingua. Studio all’Università di Roma. Diciamo che mi trovo in un casino abbastanza incasinato… troppo incasinato… perciò non ho portafoglio e nemmeno soldi nel cellulare, e stavo andando alla polizia ma…>>
<< Alla polizia? Ti hanno derubata?>>
<< No, no…>> Samantha abbassò il capo. <<… è un gran casino.>>
<< Senti.>> la interruppe Michael. << Io… bé… sempre se ti fidi di uno sconosciuto che ti vuole aiutare… ho la macchina parcheggiata qui vicino. Sono passato a prendere una pizza al Jackson’s Hole e me ne tornavo a casa. Posso darti un passaggio al pronto soccorso. Magari da lì riesci a chiamare i tuoi, gli dici che stai bene. Sono qui a Londra?>>
<< No… a Roma.>>
<< Ti posso aiutare. Mi dispiace lasciarti qui.>>
Samantha gli sorrise. << Ti ringrazio.>>
<< Senti…>> Il ragazzo le porse il braccio, dove lei poté aggrapparsi per riuscire a camminare. << Non mi hai ancora detto il tuo nome.>>
<< Oh… mi chiamo Sam.>> disse lei. << Sam Radclyffe.>>
Lui sgranò gli occhi, e la osservò. << Che razza di nome è Sam per una ragazza?>>
<< Forse il diminutivo di Samantha.>>
<< Oh…>> Il ragazzo sorrise. << Scusami. Ho fatto una delle mie tante belle figure… diciamo che non ho proprio il tatto quando ho a che fare con una ragazza. Aspetta, reggiti forte… c’è uno scalino.>> Risalirono sul marciapiede, e Sam ebbe una fitta alla caviglia. <<… la mia macchina è quella Citroén laggiù. Basta attraversare la strada e siamo arrivati.>>
Sam fu accecata dalle luci della sera. Michael aveva una di quelle piccole citycar comodissime per girare in città. Salì sul sedile anteriore, accanto alla postazione di guida, mentre avvertiva un’altra fitta di dolore. Strinse gli occhi e spostò lo sguardo fuori dal finestrino.
<< Ehi, Sam, tutto bene?>> domandò Michael, che era appena salito nella postazione di guida.
Sam avvertì un forte giramento di testa. Cercò di guardarlo in faccia, ma l’immagine del ragazzo era fortemente sfocata. << Non sto molto bene.>> mormorò. << Mi sento girare tutta la testa…>>
Avvertì il rumore dell’automobile che veniva messa in moto. << Non ti preoccupare. Ti accompagno al Royal Hospital. In meno di mezz’ora saremo arrivati.>>
<< Non so cosa mi stia prendendo…>>
<< Probabilmente è lo spavento. Rilassati. Se vuoi spengo la radio, se ti da fastidio…>>
<< No, no. Non importa. Tranquillo. Sta passando…>> Sam premette il viso contro il vetro freddo ed avvertì un lieve torpore. << Se mamma scopre dove mi sono cacciata mi ammazza.>>
<< Come mai sei sola a Londra a quest’ora?>> domandò Michael, con tono gentile. << Non è un posto molto sicuro la notte, specialmente qui a Soho… potresti cacciarti nei guai.>>
Sam sospirò. Decise di dirglielo. Le ispirava fiducia. << Ero qui per un interscambio culturale promosso dalla mia Università. Mi hanno assegnato ad una famiglia che sta poco distante da Chelsea. Bè… credo che tu abbia capito com’è andata a finire. Mi hanno cacciata.>>
<< Cos’è, gli hai distrutto la casa?>>
<< No, no…>> Sam sorrise. << Hanno usato una scusa banale. Erano stanchi di me, forse.>>
<< Che razza di gente.>>
<< Eh, già… sono state vacanze piuttosto spiacevoli.>>
Sentì il motore della macchina che emetteva un cupo borbottio. La Citroén frenò bruscamente. La cintura di sicurezza le premette contro il seno. Da quello che riuscì a vedere, avevano svoltato lungo un vicolo per evitare il traffico. << Dove siamo, Michael?>>
Michael le sorrise. << Una via secondaria. Faremo prima.>>
Poco dopo, però, aveva fermato del tutto la macchina, ed aveva spento il motore.
<< Dove siamo, Michael?>> ripeté lei, che iniziò ad avere paura.
Il ragazzo non smise mai di sorriderle con il solito piglio sereno. << Tra Regent’s Park e Victoria Street. E ti prometto che non ti farò nemmeno del male se tu sarai così gentile da consegnarmi quello splendido medaglione che stai portando al collo.>>
*
Le tenebre avvolgevano la Tana e le sue linee poco geometriche si stanziavano fiocamente alle spalle dei raggi lunari. Sembrava reggersi in piedi solo per merito della magia, come un castello di carte che prima o poi sarebbe crollato. Dalle finestrelle del primo piano le luci erano ancora accese.
Harry avanzò a bordo della 999 lungo il sentiero cercando di non fare troppo rumore. Il rombo cupo del motore poteva attirare gli gnomi da giardino che vivevano tra le sterpaglie attorno alla Tana. L’ultima volta che aveva lasciato la moto vicino a degli gnomi fu in occasione di un sopralluogo in una cascina di campagna vicino ad Hogsmeade, e gli avevano rosicchiato i copertoni.
Ci fu un rumore dietro la finestra, ed i borbottii delle galline in qualche capanno lontano interruppero il silenzio che si era instaurato nell’aia.
Fermò la 999 poco distante dal portone d’ingresso. Una luce improvvisa si riflesse sulla visiera del casco e ne rimase abbagliato. Qualcuno aveva appena spalancato la porta.
<< Chi va là?>> strillò una voce di donna.
Harry si accorse che la signora Weasley gli stava puntando contro la bacchetta. Più che altro, era seminascosta dietro l’imposta in legno massiccio e dava l’impressione di provare nei suoi confronti solo una profonda e risentita diffidenza. << Identificati!>>
Harry si sfilò il casco, con un lieve sorriso. << Sono Harry.>> disse. << Mi dispiace se arrivo a quest’ora. Probabilmente stavate andando a dormire.>>
La porta si spalancò e la signora Weasley rimase immobile ad osservarlo, piccola e rotonda, avvolta in una vestaglia verde. Lo guardava come se fosse un fantasma o un Mangiamorte venuto lì apposta per uccidere qualcuno. Poi il suo sguardo cambiò. Lo aveva riconosciuto. << Mio dio… sei proprio tu, caro?>>
Harry era a disagio. Strinse forte il casco sotto il braccio. << Credo… bé… le dispiacerebbe abbassare la bacchetta?>>
La signora Weasley si accorse solo in quell’istante che lo stava ancora tenendo sotto tiro. Ripose la bacchetta nel grembiule e gli si diresse incontro, riacquistando il suo solito, accogliente sorriso materno. << Harry, caro.>> disse, abbracciandolo. << Era quasi un anno e mezzo che non ti facevi vedere! Non sai quanto sono stata in pensiero per te.>> La sua stretta fu quasi soffocante. Quando si staccò, si alzò sulle punte per riuscire a prendergli il volto fra le mani, ed Harry fu costretto a chinarsi. << Mi fa piacere che tu sia qui, caro. Siamo stati in pena per te. Il Profeta non fa che parlare di rapimento e di uccisioni! Con il lavoro che fai… ho pensato che fossi uno dei primi esposti ai pericoli.>>
Harry sorrise, e la seguì oltre la soglia. La casa era uguale e identica dall’ultima volta che l’aveva lasciata. Vi regnava un disordine perenne e famigliare.
La signora Weasley lo portò alla luce dove poté esaminarlo meglio. << Uguale e identico a tuo padre, Harry.>> sospirò, sorridendogli. << Sei cresciuto molto. Quasi non ti riconoscevo.>> Gli portò una mano sul viso, accarezzandogli affettuosamente una guancia. << Ti sei fatto crescere la barba?>>
<< No, è solo che… bé…>> Harry le sorrise. Si riferiva all’accenno di barba che portava sul mento. Non lo sapeva, ma nel mondo babbano era piuttosto di moda. <<… ho solo dimenticato di radermi, stamattina.>>
<< Hai fame, caro?>>
<< Abbastanza.>> ammise lui, che si accorse solo in quel momento di quanta ne aveva.
<< Siediti, ti preparo qualcosa.>>
Mentre Harry sedeva, notò un rosso e grassoccio gatto dal pelo rossastro ed il muso schiacciato appollaiato vicino al davanzale, con aria sonnacchiosa. Improvvisamente un’ondata di eccitazione lo invase da capo a piedi. << Grattastinchi.>> sussurrò. <<… allora Hermione è qui?>>
La signora Weasley, che si stava avvicendando ai fornelli, scosse leggermente il capo. << Mi dispiace, caro. Ci ha solo lasciato il suo gatto due mesi fa, prima che partisse. Non sapeva a chi affidarlo, poverina… è un così bravo animaletto.>>
<< Partita?>> fece subito Harry. << Per dove?>>
<< Non l’ hai più sentita dopo che sei entrato al Ministero?>>
Lui scosse il capo. << Sono stato molto occupato in una missione piuttosto delicata.>> si giustificò, ben sapendo che la motivazione per quel distacco era un’altra. << Non ho nessuna notizia di lei.>>
<< E’ partita per l’Australia.>> disse la signora Weasley, con un sorriso intenerito. << Lavora per la Gringott adesso. L’ hanno assunta come ricercatrice.>>
Meglio in Australia come ricercatrice che in un luogo più vicino in viaggio di nozze.
<< Quindi… ricerca reliquie per la Gringott?>> fece Harry, fingendosi meno interessato di quello che era in realtà. << Devono pagarla piuttosto bene.>>
<< Certamente.>> disse la signora Weasley. << Più che altro, da quello che mi ha detto, si occupa di effettuare delle ricerche sul conto di alcuni oggetti andati dispersi. Sta lavorando dietro ad alcuni tesori. Non ho capito bene di cosa si tratti.>>
<< E Ron?>> proruppe Harry, mentre lei gli posò davanti un piatto vuoto. << E’ da un sacco che non lo sento. L’ultima volta che ci siamo visti era quasi sei mesi fa, prima della mia partenza per Londra.>>
La signora Weasley agitò la bacchetta e la pentola che ribolliva sui fornelli levitò in aria, spostandosi verso il tavolo e vuotando il suo contenuto fumante nella ciotola. Una densa e appetitosa zuppa di cereali e verdure, proprio come piacevano a lui.
<< Uova, caro?>>
<< Sì, perché no?>> sorrise Harry. << Allora, Ron come sta?>>
Lei fece scivolare in un altro piatto delle uova strapazzate e della pancetta affumicata. << Ho sentito che al Ministero stanno diventando matti con quei calderoni illegali che esplodono quando uno vi miscela dentro una pozione. Arthur ha dovuto fare un sacco di straordinari per riuscire a contattare tutti i fornitori e bloccare la produzione. Non ti dico come tornava a casa infuriato la sera…>>
<< Signora Weasley.>> la interruppe bruscamente Harry, che smise di mangiare e posò il cucchiaio sulla tavola apparecchiata. << Ron come sta?>>
Improvvisamente, fu come se un fantasma le avesse annebbiato il volto. La Signora Weasley si lasciò cadere stancamente sulla sedia accanto alla sua, e nascose il volto fra le mani, iniziando a singhiozzare. La prima cosa che Harry fece, fu quella di scordarsi la cena ed i borbottii di stomaco per posarle prontamente una mano sulla spalla, il cuore che batteva forte. << Dov’è Ron?>> chiese, sperando in una risposta positiva. << Sta bene, sì?>>
Lei pianse forte, e scosse il capo. << Io… non lo so!>> singhiozzò. << Harry, caro, mi devi credere… non è colpa tua… tu non c’entri assolutamente niente. Il Ministero ti ha affidato questo compito delicato, e tu lo stai portando a termine. E’ giusto che tu ti dedichi al lavoro…>>
<< Signora Weas…>>
<< C’è stato un attacco, poco tempo fa… dalle parti di Sheffield.>> proseguì la signora Weasley, tra un singhiozzo e l’altro, mentre Harry la stava ad ascoltare col fiato sospeso. << Ron giocava a quidditch, sai? Mi stupisco che non ti abbia detto niente, era così felice! Era entrato come portiere nei Tornado Tigers. Stavano giocando una delle prime partite di campionato, quando i Mangiamorte hanno attaccato lo stadio.>>
<< Oh, cristo.>> imprecò Harry. << E Ron?>>
<<… lanciavano maledizioni ovunque, e parecchi babbani si sono accorti dell’incidente… Chris Avery, il collega di mio marito… lui ha perso una gamba per colpa di un sortilegio Oscuro, e sua figlia è rimasta vittima sotto le macerie delle gradinate… e Ron… il mio Ron…>> Mentre parlava, scoppiò in lacrime. << Per fortuna lui non si è fatto molto male… ma un incantesimo deve averlo colpito alla testa, da quello che ha detto un dottore del San Mungo… non è più quello di sempre, Harry…>>
<< Adesso dov’è?>> disse Harry, preoccupato. << Nessuno mi ha informato di questo incidente. Nessuno mi ha mai riferito che…>>
<< Siamo stati noi a decidere di lasciarti all’oscuro di tutto, caro. Volevo dirtelo di persona. Sapevo che via lettera non l’avresti presa molto bene, e ti saresti precipitato qui… ma il tuo lavoro era troppo importante, poteva mandare all’aria la tua scopertura.>> singhiozzò lei, il volto rigato di lacrime. <<… e’ a letto adesso, ma domattina sono sicura che potrai andare a salutarlo… non credo che ti riconoscerà, Harry… ha perso quasi del tutto la memoria.>>
Harry si portò una mano nei capelli e scrutò la signora Weasley con una nota di profondo rammarico nello sguardo. Era come se tutte le false speranze che si era creato nella testa fossero esplose tutte assieme. Si sentiva vuoto, stanco e depresso, come se un masso gli premesse sgradevolmente sullo stomaco, fino a farlo gridare dal dolore. C’era una voce dentro di lui che si lamentava, sembrava strillare. Era la rabbia che in quel momento Harry stava provando nei confronti delle creature che gli stavano rovinando la vita. Non solo era stato un magiamorte a farlo licenziare, ma uno di loro aveva distrutto la serenità di una famiglia, aveva fatto del male al suo migliore amico. Non ci poteva ancore credere. In un attimo, si accorse che le sue mani tremavano. << Quando ero a Londra.>> soffiò, livido di rabbia. << Nessuno si è mai preoccupato di avvisarmi su ciò che sta accadendo qui. Ed ora che mi hanno buttato fuori, sono tornato per scoprire la distruzione che stanno seminando i Mangiamorte… quando ero convinto che il mio migliore amico stesse bene…>>
<< Buttato fuori?>>
<< Sì.>> sbottò Harry. << Ma ora… davvero… vorrei vederlo…>>
<< Non ancora, Harry.>> La signora Weasley, il volto rigato di lacrime, lo costrinse a risedersi, quando era già schizzato in piedi. << Sta dormendo. Rimani seduto, finisci di mangiare. So che è dura da accettare…>> Emise un altro singhiozzo. <<… ma anche se ti arrabbi, non servirà a granché.>>
Harry addentò penosamente un pezzo di pane, scrutando l’oscurità fuori dalla finestra. << Mi trovavo vicino a Carnaby Street, quando due Mangiamorte sono apparsi dal niente.>> mormorò, inghiottendo il boccone. << Ero lì per indagare su un traffico di tappeti illegali smerciati dall’oriente. Diciamo che ero nel posto sbagliato al momento sbagliato. Volevano architettare qualche strage di babbani, ed ho cercato di impedirglielo.>>
<< Harry, tesoro, hai solo fatto il tuo dovere… perché ti hanno licenziato?>>
<< Ho scagliato alcuni incantesimi in mezzo alla folla. Almeno cinquanta babbani mi hanno visto. Hanno seguito la lotta. Ho schiantato un Mangiamorte, l’altro è fuggito. Poi io mi sono accorto che tutti mi stavano guardando, e mi sono smaterializzato.>>
<< Ma almeno hai impedito che morissero degli innocenti, Harry…>>
<< Lo so.>> ringhiò Harry, provando un innato senso di rabbia. << Ma l’ hanno fatto. Mi hanno buttato fuori. Non c’è stata scusa né giustificazione che li abbia convinti. Ho già riconsegnato il distintivo. Non sono più del Ministero, né un Auror… né un Ordine di Merlino di Prima Classe…>> Il suo fiato venne meno, quando proseguì. <<… sono solamente Harry.>>
spero possa piacervi questa FF!!!
:up: